Amedeo Colella sul napoletano di Troisi: “Un genio che ha fatto la rivoluzione”
Amedeo Colella, noto scrittore, storico, umorista e studioso della lingua napoletana, ai microfoni di Radio Fuori Campo, ha ricordato Massimo Troisi con gli italiani all’estero nel corso di “Grazie, Massimo”, speciale di Gianluca Vitale dedicato al compianto artista (Clicca qui per i dettagli dell’iniziativa):
“Cosa ha rappresentato Troisi per i napoletani nel mondo? Credo di poter affermare che Massimo Troisi per ciascun napoletano rappresentasse, e rappresenti a tutt’oggi, un componente della propria famiglia… un fratello, un cugino. Un parente prossimo che ce l’ha fatta ad emergere, a diventare famoso, ma pur sempre uno di noi. Un artista che è riuscito ad esprimere uno stato d’animo, una necessità intima di cambiamento ed affermazione”.
“Senza tema di esagerare – ha aggiunto – Massimo ha incarnato una piccola rivoluzione, ironica e poetica, intercettando il bisogno, ormai maturo, di strapparsi di dosso le etichette e i cliché appiccicati al concetto di napoletanità. Ha imposto, col suo sorriso sornione, una riflessione sulla stupidità dei preconcetti e dei giudizi affrettati, focalizzando l’attenzione su mille aspetti della natura umana, stabilendone definitivamente l’equazione di uguaglianza e unicità. Ha avuto voglia di interpretare col sorriso, e talvolta con una smorfia di indolente broncio e pigrizia, la metamorfosi di una intera generazione.
“Troisi era un genio nella costruzione della battuta, mai scontata: chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca… Cioè, comm’è ‘sta cosa? Chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca… Azz, è bella, ‘o ssaje? L’hai fatta tu? Pari scemo tu eh, e invece… E invece la frase era di Michel de Montaigne, un filosofo del ‘500. Ma noi l’abbiamo conosciuta con Troisi, e il suo Lello che l’aveva copiata e fatta sua”.
Perché Massimo riusciva ad essere così universale con il suo napoletano?
“Sin dai suoi esordi televisivi, ha imposto il napoletano come linguaggio d’espressione e lui stesso, più volte, ha ribadito la scelta ricorrendo tanto ad una ragione istintiva, legata al suo modo naturale di pensare, sognare ed esprimersi, quanto ad una scelta precisa e meditata.
Anche in questo caso, ha sentito la necessità di imporre agli altri (al resto del mondo) uno sforzo di comprensione, quasi un atto dovuto per riscattare annosi atteggiamenti qualunquistici e distratti. Ed è riuscito a creare un linguaggio universale anche e soprattutto grazie ad una solida credibilità e al dono della espressività dei suoi sguardi, delle sue parole e persino dei suoi silenzi e delle sue pause”.
“La sua arte impone riflessione e compartecipazione; scende nel profondo e trova i tempi giusti per esprimersi e per esprimere concetti e tematiche nelle quali, felicemente, tutti possono riconoscersi.
Insomma, un uomo, un comico, che ha cambiato il nostro modo di divertirci, che ha rivoluzionato la comicità, che aveva addirittura introdotto modi di dire e parole nuove entrate nel napoletano parlato”.
“Grazie a lui, Robertino ancora oggi è il bamboccione impaurito e pieno di complessi… Anzi: ‘Mammina dice che ho i complessi nella testa.… Fosse ‘o Dio, quali complessi! Tu tiene l’orchestra intera in capa, Robè tu ti devi salvare!’. Grazie a lui, abbiamo imparato che il limite di ‘quando uno fa…quelle cose??? L’amore… mai più di cinque!’. ‘Ma se sei diplomato… mai più di quattro!’. Che tra un giorno da leone e cento da pecora, meglio cinquanta da orsacchiotto! Che si può ricominciare anche da tre!… ‘Da zero, ricominci da zero. Nossignore, cioè tre cose me so’ riuscite dint’ ‘a vita, pecché aggia perdere pure cheste?’…”.
Completi la frase che dà il titolo al nostro speciale: “Grazie, Massimo, perché…”
“Massimo, grazie perché… Quando c’è l’amore, c’è tutto! No, chell’ è ‘a salute!”.